Del 1994 mi ricordo tre cose: i miei 8 anni, il rigore sbagliato da Baggio in finale a Pasadena contro il Brasile di Romario e la vittoria di Silvio Berlusconi. Oggi siamo alle soglie del 2014, ho 28 anni. Baggio non gioca più. E se Dio vuole, nemmeno Silvio Berlusconi.
Oggi però vorrei ringraziarlo.
Grazie Silviuccio, mi hai creato degli anticorpi democratici che se non fosse stato per te, caro il mio delinquente, non avrei avuto.
Grazie perché mi hai mostrato che nessuno, per vent'anni, è riuscito con efficacia a opporsi alle tue nefandezze. E anzi molti, dall'altro lato, ne sono stati complici.
Grazie Silviuccio perché mi hai fatto capire che veramente la malerba non muore mai, e non credo che capiterà neanche stavolta.
Grazie Silvy perché mi hai fatto fare tante amare risate.
Grazie Berlu perché so che dopo il tuo impero del Lato Oscuro ci vorranno anni per rifondare la Repubblica.
"Veniii, veniiiii, veniiiiiiiii, BONU!". L'operaio in canotta grida di fermarsi al collega ignudo arrampicato chissacome sulla gru che sta calando l'ultimo dei 36 tiranti. Oggi è un giorno importante, si raddrizza la Costa Concordia, arenatasi l'anno scorso a Cannitello (RC).
Gli anziani presiedono alle operazioni, constatando come esse non siano fatte a regola d'arte: "Ma s'a corda a menti i ddu latu, poi comu u sbacanta u casciuni? Mmah... non c'è chiù mundu".
Clic, postala su Instagram. Tre ragazzine adolescenti che si iucaru a scola stanno fotografando per l'ultima volta la scritta che il focoso putto coetaneo ha dedicato a una di loro sulla fiancata dell'enorme relitto, prima che esso venga rimosso e distrutto.
Il sito è tranquillo fino a quando la rotazione non inizia, poi all'orizzonte si profila una nuvola di fumo, sembra un tornado.
E' il presidente dell'Anas, il presidente della Regione, il presidente della Protezione Civile, il Vescovo e la contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare, attorno alle loro auto blu frotte di cronisti con la visiera danno le spalle alla delicatissima operazione tecnica e hanno occhi solo per i vips.
Dichiarazioni, dichiarazioni a schioviri, grande occasione, successo dell'amministrazione, volano di sviluppo, punta d'eccellenza, valorizzazione del territorio. Tutte le frasi fatte del politichese vengono sfoderate in un solo secondo per il sollucchero degli attempatissimi caporedattori.
Col binocolo un uomo controlla da una collina lo svolgersi delle operazioni, la sua cosca ha vinto, l'appalto è andato a lui grazie a qualche amicizia a Roma.
A un certo punto però scoppia il caos: come elastici troppo tesi i tiranti cominciano a staccarsi in rapida successione l'uno dopo l'altro, l'effetto è quello di un mitragliatore. Il cassone d'acciaio si stacca per il contraccolpo e inizia a galleggiare in acqua.
"Poco male, lo completeremo entro il 2016, ma serve una ricapitalizzazione di 26 miliardi" disse il presidente della Prociv.
"E' colpa dei comunisti, i soliti nemici di Reggio" disse il presidente della Regione.
"E' la volontà di Dio - disse il Vescovo - non è colpa di nessuno come al solito".
"Vu rissi eu" disse il vecchio.
"POOOORCOOOOOOO........" Dissero in coro gli operai.
I giornalisti non dissero niente, salvo concentrarsi sulla polemica politica tra il presidente della Regione e i comunisti, che avevano già convocato una conferenza stampa per accusare di tutto il suddetto presidente della Regione.
Le uniche a fotografare l'evento furono le tre adolescenti.
L'uomo sulla collina sorrideva, il nuovo appalto l'avrebbe comunque rivinto lui.
Ho trascorso tra Scilla e Cariddi tutta l'estate, una delle più belle della mia vita.
E, come ogni volta che devo andare via, anche oggi m'interrogo sul perché io non possa restare.
Stavolta ho avuto un'epifania. Una intuizione di quelle che cambiano la vita, sconvolgente.
Ho capito per quale motivo esistono e non vengono risolti i problemi della mia città e, quindi, del Sud.
Si, mi rendo conto che è un po' pretenzioso ma vi prego, seguitemi.
Riprendiamo per un attimo l'assioma che si legge nelle prime dieci pagine di tutti i libri di giurisprudenza: il patto tra i consociati.
Per chi non la conosce, la teoria dice questo: un comportamento è lecito quando la comunità lo ritiene tale, e dunque produce una norma che sanziona il comportamento illecito o regola quello lecito. Questo in virtù del fatto che ha una scala di valori chiara, precisa, perlopiù condivisa.
Ora facciamo un piccolo ragionamento di ordine storico: il Sud Italia, comunque la si voglia vedere, è stato sballotato e trascinato negli eventi storici degli ultimi 150 anni. Risultato? La scala assiologica (quella dei valori) si è sballata, il vecchio ha resistito, il nuovo è stato imposto e non assorbito, eccetera.
Un vero casino, insomma.
Adesso entriamo nello psicologico (grave).
Questo sballamento di scala valoriale, sfalzamento di valori e sanzioni, questo patto sociale effimero, ha prodotto una falsa sensazione nella mente dell'uomo del Sud: quella che i problemi della propria terra siano una situazione emergenziale.
Ecco, quello che ho capito oggi è questo: non è un'emergenza, il problema è strutturale.
In poche parole siamo in una fase pre-politica, in cui sostanzialmente dobbiamo guardarci dentro, individualmente e come società, e decidere - serenamente - che cosa è giusto e che cosa è sbagliato.
Risolvere strutturalmente il nostro conflitto interiore.
Il problema del ragionamento opposto, quello del problema esterno-emergenziale, è che la soluzione, per la natura stessa della percezione del problema, deve essere per forza semplice.
E, santiddio non mi stancherò mai di dirlo, non esistono soluzioni semplici a problemi complessi.
In pratica, la soluzione è complessa quanto il nostro Io individuale e collettivo, e va aggiustato prima quello.
Il problema è paragonabile a una patologia come la depressione.
Una malattia curabile, ma solo a partire dalla scomposizione e ricomposizione della percezione del mondo (interiore ed esteriore). Se si crede che la causa della depressione sia il lutto, l'incidente ecc. ecc., ci si sbaglia inevitabilmente. Il problema è psicologico, strutturale.
Ho detto.
Volevo soltanto condividere con voi questa perla di onanismo intellettuale, senza pretese.
La mia faccia quando ho saputo che Renato Accorinti aveva vinto
Prima di tutto la notizia: Renato Accorinti, preparatore atletico e professore di educazione fisica, ha vinto il ballottaggio ed è il nuovo sindaco di Messina.
Lo so che sono in leggerissimo ritardo, ma l'evento è uno di quelli da metabolizzare a lungo: sono bocconi dal gusto complesso, di quelli che devono esere assaporati lungamente per scoprirne ogni sfumatura e ogni sapore.
Siccome non riuscivo a capire bene - in tutti gli aspetti - cosa fose successo, ho deciso di passare una giornata sull'altra sponda (dello Stretto, of course) per farmi un'idea chiara.
Ecco cosa ho scoperto:
1) MESSINA "CITTA' PALUDE"
Il primo motivo per cui è assurdo che Bomber Renato abbia trionfato è la città di Messina.
La mia città natale (ebbene si, ed è la prima volta che ne sono fiero) è l'epitome, l'archetipo e altre parole fighe, della politica del Sud. Qualcuno l'ha definita - una volta tanto a ragione - la "città-palude".
La città-palude
Nel senso che a Messina negli ultimi 50 anni non era mai cambiato mai nulla. Non nell'accezione gattopardiana in cui tutto cambia perchè tutto resti uguale, no no. Proprio non era mai cambiato niente.
Un intreccio di clientelismo portato all'estremo, interessi economici e politici il cui amalgamarsi rasenta il ridicolo, una società civile iconica per provincialismo e borghesismo estremo. Campioni mondiali di fighetteria in sella a motorini alla moda mentre gli amici politici mangiano qualsiasi cosa dipensando sapientemente posti di lavoro.
Per dare un'idea concreta di cos'era Messina, leggenda narra che l'altissimo numero di inutili (e mai rispettati) semafori presenti in città sia dovuto al fatto che un vecchio sindaco possedesse una società di segnaletica stradale. Epico.
La granita da Doddis, l'arancino da Famulari, il cornetto da Sottosanti, il mare al Pilone. Tutto uguale, tutto un ripetersi di riti immutabili e liturgici per quasi tre generazioni. Messina si è addormentata nel sogno del boom economico anni 60-70 e non si è mai svegliata. Fino ad oggi.
Allora uno si chiede come accidenti sia possibile questa conversione repentina. A mio avviso l'analisi è semplice. Per una serie di fortunate coincidenze, i messinesi hanno avuto l'opportunità di guardarsi finalmente allo specchio, si sono fatti schifo, e hanno deciso di rifarsi il look, ma stavolta sul serio.
2) L'UOMO SOLO
Renato in cima al Pilone nel 2002
Era il 2002 quando un pazzo armato di barba, idee e striscioni si arrampicò sul Pilone dell'Enel a Capo Peloro per urlare il proprio NO al Ponte sullo Stretto. Ecco come l'opinione pubblica conobe per la prima volta la peculiare figura di Renato Accorinti.
Nonviolento, pacifista, bla bla bla (potete trovare su qualsiasi sito la sua biografia completa, adesso), Renato è l'uomo solo.
Però c'è un però! Il secondo motivo dell'assurdità della sua vittoria è che l'uomo solo ha saputo coinvolgere, sempre. Negli anni ha creato un movimento No Ponte unitario, ha fatto rete, ha unito realtà, in una città individualista, eclusivista e profondamente elitarista.
Per le elezioni è stata la stessa cosa: il buon Renato ha mosso - evangelicamente - una montagna da solo, con la forza delle idee.
E' partito solo come un cucciolo sull'autostrada, con le stesse possibilità di riuscita che avrebbe il sottoscritto a una gara di bodybuilding: ampiamente sotto lo zero.
E allora perche ce l'ha fatta? Perchè ha giocato un gioco nuovo: in una città esclusivista ha giocato ad includere, a coinvolgere, ad ascoltare, a spiegare. Non ha promesso, non ha utilizzato doti immaginifiche per pianificare il futuro, ha fatto finalmente sognare i messinesi impegnati da anni a dormire. Lo sforzo d'immaginazione è stato quello degli elettori, non il suo.
E' quasi inspiegabile ma lui e i suoi ce l'hanno fatta.
Qualche illustrissimo collega dei quotidiani nazionali l'ha definito "Il sindaco del No".
Per commentare questa affermazione prenderò in prestito le parole del magistrale Er Pomata, il personaggio di Enrico Montesano in "Febbre da Cavallo": "Questa è la più grande cazzata da che l'omo inventò er cavallo".
Renato è il sindaco di un No e mille Si. Ecco perchè ha rivoltato un sistema cinquantennale come uno di quei calzini che lui non ha usato all'insediamento.
Ha messo davanti alle persone l'idea di una città diversa, di una realtà diversa.
Molti illustrerrimi commentatori nazionali lo hanno scambiato per un sindaco di protesta, un grillino 2.0. Poveri loro, Renato è l'anti-Grillo!
Perché dietro Grillo c'è la voglia di dire No e basta: distruggiamo tutto e poi casomai ricostruiamo. Vuoto assoluto.
Dietro Renato c'è la cultura, la voglia di costruire una realtà alternativa perchè è bello, quello che di sbagliato c'è attualmente sarà distrutto in maniera automatica dalla bellezza.
Sono due approcci alla vita completamente speculari, non so se riesco a spiegarmi come vorrei.
Insomma per farla breve, Accorinti non è il Santone del No, ma il Guru dei Si. E mizzica se c'è differenza.
3) LA TRASVERSALITA'
In termini di politica più hard, a Messina è succeso un altro miracolo. Frange interessate al cambiamento dei vecchi partiti (quindi omunque persone estranee al sistema), hanno tramato in segreto per rovesciarlo. Hanno spinto Accorinti verso il ballottaggio senza che lui glielo chiedesse.
Non chiedetemi come faccio ma so per certo che è così. La politica sana della città ha fatto di tutto per far perdere i due candidati di Pd e Pdl, a favore di Renato.
Felice Calabrò incontra i giovani dei partiti
E' una cosa miracolosa. Alcuni giovani di buona volontà di entrambi gli schieramenti politici sono riusciti a completare una congiura epica. Un condominio (59 voti) ha votato Accorinti anzichè il povero (poi spiegherò perché povero) Felice Calabrò al primo turno, consentendo di riaprire totalmente la partita, di spalancare le porte alla capacità di sognare degli elettori.
Ora, se questo fosse stato un giochetto architettato in riunioni segrete, non sarebbe certo un fatto degno di nota. Il problema è che i congiurati non si sono nemmeno messi d'accordo tra di loro: l'hanno fatto per senso di responsabilità.
Roba da fare cadere la barba a Renato per lo stupore.
Questo è il terzo, assurdo, motivo per cui Renato Accorinti è il nuovo sindaco di Messina. I giovani dei partiti hanno deciso di sognare insieme a lui per poter rovesciare i sistemi che li tengono fuoi dalla politica. E tanti saluti ai vecchi Soloni (con nickname tipo sanluigi68).
4) LO SGAMONE
Il quarto motivo per cui è accaduta l'assurdità è lo sgamone.
Per quanto sia assurdo e miracoloso, lo sgamone è molto semplice.
Un elettore messinese capisce chi c'è dietro Calabrò
Si tratta di un vecchio trucco dei vecchi impresentabili che mandano avanti un giovane specchiato per potere - nell'inconsapevolezza del pulitissimo giovine - nascondersi dietro la sua ombra per continuare a tramare.
E' il caso del povero Felice Calabrò, candidato sindaco del Pd. Una persona perbene.
Lo sgamone consiste nel fatto che - incredibilmente - i messinesi sono riusciti a cogliere un fugace indizio di ciò che succedeva alle spalle del povero Felice e, scusandosi con lui, hanno votato Accorinti.
SGAMONE!
5) LA BICICLETTA
A dispetto di ciò che rischia di diventare, posso con relativa tranquillità affermare che Renato Accorinti non sia Gesù Cristo figlio di Dio. E' - assurdamente - un essere umano.
Da sinistra: Little Mario, io, Renato
L'ho incontrato al termine della mia meravigliosa giornata messinese in sella alla sua fida graziella, stanco ma felice dopo la sua prima riunione di giunta.
L'ho toccato (in modo educato) e posso affermare con certezza che è la stessa pesona che ho saltuariamente conosciuto nell'arco degli scorsi 10 anni, non è stato assunto in cielo, non è stato insufflato di Spirito Santo.
E' una persona, non un politico.
Attenzione però, non si ammanta nemmeno dell'aura di cittadinismo propria dei grillini, unti dal popolo anzichè dal Signore per distruggere la Ka$ta. (SVELIA11!!1).
E' lo stesso cristiano con cui chiacchieravo ai cortei No Ponte, solo che ora fa il sindaco (epiteto con il quale l'ho appellato anche se so che non me lo perdonerà mai).
Si ferma a parlare con la gente, ma si vede che non è una concessione. Nel fatto che lui si fermi a parlare non c'è la notizia: l'ha fatto prima e continua a farlo.
Dunque il quinto e più assurdo motivo per cui Renato Accorinti è sindaco di Messina è che è un messinese normale. Solo che, per una volta, è la rappresentazione della parte migliore dei messinesi.
6) CONCLUSIONE
Sono molto contento. E per questo metto questo video quiggiù.
Avvertenza: Questo post non è costruttivo ne' politicamente corretto ne' utile in qualsivoglia modo. Non nasce da fatti specifici, ne' da una "scintilla" che accende il fuoco, il fuoco, piuttosto, cova da troppo tempo sotto la cenere.
Come ci hanno raccontato il nostro futuro
Siamo stati programmati male. Siamo Internet Explorer: un prodotto validissimo uscito nell'epoca sbagliata. Anzi peggio, siamo una comodissima Rolls Royce destinata a percorrere una strada distrutta da buche e voragini.
È la mia generazione, quella dei 30enni nell'anno Domini 2010 e rotti.
Ci hanno cresciuti nell'illusione che il mondo fosse facile, il mondo degli anni 80 e 90: economia rampante, calippo fizz e braccialetti alla fragola.
Ci hanno installato il software sbagliato e, quel che è peggio, ci hanno convinto che la colpa sia nostra.
Analizziamo il fenomeno.
INFANZIA
Il paese dei balocchi. Siamo stati tirati su dai nostri genitori sessantottini e postsessantottini, figli del benessere, figli della cambiale che non era un problema, baby boomers, post-rivoluzionari, democristianidisinistra.
Ci hanno detto che da grandi avremmo potuto essere qualsiasi cosa, così abbiamo iniziato a studiare alle elementari (ai nostri tempi c'erano ancora maestre valide). Nel pomeriggio giocavamo a pallone per strada ma nel frattempo andavamo a lezione d'inglese o di pianoforte. Il nintendo 8 bit era d'ordinanza. Benessere, benessere, benessere. Prospettive a gogò.
Come sarà realmente il nostro futuro
ADOLESCENZA
Qualcuno di noi si è appassionato alla politica, qualcuno di noi leggeva, molti di noi crescevano ancora nella convinzione di poter fare parte del mondo. Si studiava, spronati dai genitori a dare il meglio per costruirsi un futuro.
E noi ci abbiamo creduto, abbiamo investito il 90% delle nostre risorse nell'impegno. Qualcuna di esse è andata dispersa negli anni successivi. Colpa degli ormoni.
UNIVERSITA'
Ancora convinti dal sogno italo-europeo abbiamo ceduto alle lusinghe dell'Erasmus, impiegando il restante 10% delle nostre risorse nell'alcolizzarci, chè tanto poi ci laureiamo e troviamo lavoro. Credici. Lol.
PRIME ESPERIENZE LAVORATIVE
Qui è crollato tutto. Ci avevano preparati alla cioccolata e ci siamo ritrovati immersi nella merda. E allora ci raccontarono che era normale, che tutti devono fare gavetta, di andare avanti determinati. Bah, abbiamo continuato fino all'esaurimento delle forze. I più fortunati di noi hanno ottenuto un contratto a progetto. I meno fortunati sono finiti in terapia.
DI CHI E' LA COLPA?
Di chiunque sia non è nostra. O meglio, è ovvio che anche noi, in quanto individui, abbiamo delle responsabilità sull'evolversi della nostra vita, ma in questa situazione storica esse sono marginali.
E qui arriva la bomba!
Udite udite, in verità vi dico: la colpa è dei nostri genitori. Non dico individualmente, dico come generazione.
PERCHÈ?
La generazione dei nostri genitori è riuscita in un'impresa titanica.
I loro genitori (i nostri nonni, per chi ha perso il filo delle ascendenze) avevano preso un'Italia macellata dal fascismo, con le strade sterrate e i bambini affamati (che erano loro) e l'avevano trasformata nella fantasilandia dove sono cresciuti i nostri genitori.
I nostri padri e le nostre madri hanno ricevuto in dono un paese dove potevi costruirti un futuro, dove la fame 1.0 non esisteva, e nemmeno la fame 2.0 propria della nostra generazione.
Laureato? Boom, posticino in fabbrica. Diplomato? Vieni a lavorare al Comune. Terza media? Un posto al petrolchimico non si nega a nessuno.
Non contenti di questo paese delle bambole protestarono, i nostri cari vecchi, perché non potevano accoppiarsi selvaggiamente. E la fecero pure passare per una cosa fica! (Geniali e perfidi).
Insomma hanno preso un paese quasi perfetto (ok, non c'era il divorzio ne' l'aborto ma ci saremmo arrivati comunque) e l'hanno reso invivibile in poco meno di 40 anni. Chapeau.
Quando i loro figli (cioè noi), che hanno cercato di crescere amorevolmente viziati, si sono ritrovati a dover pagare loro la pensione, invece di dire "scusateci abbiamo sbagliato tutto", hanno cominciato a raccontarci una bella favola: "È colpa vostra".
E no, cari genitori, la colpa è vostra! Scale mobili, prepensionamenti, mungitura costante alla gigantesca tetta statale, i politici che avete votato, i vostri ideali che avete tradito.
È colpa vostra se abbiamo 30 anni e non possiamo fare figli, colpa vostra se non abbiamo ne' una lira, ne' un futuro ne' delle prospettive. È colpa vostra se siamo più poveri e infelici di voi.
Siamo pronti a perdonarvi se vi assumete le vostre responsabilità. Noi perdoniamo perché ci avete fatto così, cattocomunisti.
IL PROBLEMA
Il problema è che pare non abbiate intenzione di farlo, oltre ad addossarci le responsabilità dei nostri presunti fallimenti, c'è di peggio.
Ogni giorno che il buon Dio manda in terra vi vediamo passare davanti a noi sotto varie forme (professori, esperti, impiegati, burocrati, politici, banchieri, spazzini) a darci lezioni di vita.
Lasciatemi essere chiaro e brutale: non potete insegnarci un piffero.
Non avete la nostra esperienza di vita, non avete conosciuto un briciolo della nostra sofferenza, non avete idea della vita incerta.
Ora vieni, nonna, lasciamo i bambini a riflettere e andiamo a parlare di cose da adulti.
PS: Chiedo scusa ai miei genitori a cui voglio tanto bene e che mi hanno cresciuto con la coscienza critica per scrivere questo sfogo. Di questo non potrò mai perdonarvi.
Si parla di Roccaforte del Greco, comune più volte sciolto per mafia, dove la ndrangheta (senza apostrofo, please) è una realtà evidente, dove neanche si è riusciti a raggiungere il quorum per l'elezione del sindaco, nemmeno stavolta. Tutto corretto, tutti fatti incontrovertibili.
Ciò che lascia basiti, nel leggere lo scritto dell'inviata napoletana, è che di questi fatti si trovi la prima traccia attorno alla decima riga del pezzo.
Attenzione! Non voglio certo mettere in dubbio il fatto che la giornalista conosca le regole base del mestiere (la notizia va sempre in testa), ma che per l'ennesima volta gli inviati delle grandi testate rendono un pessimo servizio al loro mestiere oltre che ai lettori mettendo in primo piano il colore - peraltro intriso di una retorica risibile che più avanti analizzeremo - e in secondo piano, in una posizione di sfondo, ai margini di un racconto che per il resto è di fantasia, i sacerrimi fatti.
"Sono gli stessi abitanti, 545 cristiani in tutto, oltre a una cinquantina tra pecore, capre e maiali, che tra qualche giorno saluteranno a distanza il commissario...".
Questo è l'attacco del pezzo.
La retorica delle capre e dei maiali è da romanzo di Corrado Alvaro. Forse nelle campagne di Napoli, Torino, Verona, Lecce, Ouagadougou, i maiali e le capre sono stati abbattuti per decoro urbano, per non dare l'impressione dell'evidente arretratezza che questi animali così bene rappresentano. Saranno stati sostituiti da raffinati Alpaca.
L'uso della parola "cristiani" è di per sè fuorviante o quantomeno scarsamente dettagliata: Roccaforte, come la giornalista sa, è uno dei paesi dell'area grecanica. Nella sua splendida chiesa medioevale si celebra ancora, una volta al mese, la messa cattolica di rito greco.
Ma andiamo avanti nella lettura.
"Le donne - scrive Conchita Sannino - curve sotto la tramontana anche a maggio, alle sei si ritirano. Ma al bar i mariti ti offrono il caffè, sotto una Madonna ingiallita..."
Che immagine! Mi sembra quasi di vederle le donne calabresi coi loro veli neri sulla testa che curve sotto la tramontana - Roccaforte è esposta a Sud, a Nord c'è una montagna che la ripara e maggio è il mese dello scirocco - tornano alle loro meste capanne di sterco e paglia davanti al cui focolare prepareranno un'umile cena per i loro villosi mariti dai volti scavati nella pietra.
La Madonna ingiallita l'avrà disegnata Matt Groening? Sarà colpa dei fumi dei caffè offerti al bar? (A proposito: fanno a giro? Paga sempre uno solo? Come si organizzano?).
Mistero.
"La caserma dell'Arma di Roccaforte, unico posto dove si parla italiano..."
Dimenticavo di dire che sia i mariti che le misteriose donne sono evidentemente sprovvisti di televisore, visto che non parlano italiano.
Abbandoniamo la goliardia. Nel pezzo pubblicato sia dall'edizione cartacea che da quella telematica del quotidiano si leggono anche fatti, e fatti molto rilevanti.
Mi chiedo se non fossero più importanti quelli che non le voci - con sapienza selezionate - dei paesani.
Mi chiedo se forse si sarebbe potuta raccontare la morsa asfissiante della ndrangheta sul paesino senza ricorrere a questo stile infarcito di retorica dell'arretrato, di queste generalizzazioni caricaturali che vendono così bene.
Conchita Sannino è di Napoli, ha inaugurato lì la sua carriera. Non è certo una persona che scriverebbe a scapito del Sud.
Ma che pena sapere che i grandi giornali preferiscono mandare un inviato giù da noi, proprio per ottenere questo risultato così vendibile e sicuro, piuttosto che avvalersi dei loro valentissimi corrispondenti per raccontare i fatti.
A loro serve la semplificazione, il colore, le voci, le madonne ingiallite e le donne ricurve, sennò il giornale non si vende.
Nel frattempo i fatti spariscono e la situazione disperata della Calabria viene relegate nel folklore mediatico.
Ora basta. Sono quasi le otto. Andiamo al bar che vi offro l'ultimo caffè e poi torniamo a casa, mia moglie mi ha fatto i fagioli e poi le devo menare.
Tutti a prendersela con Francesca Chaouqui.
La trentenne calabrese emigrata al Nord che, con una descrizione horror che Borghezio non avrebbe immaginato nemmeno nei suoi sogni più soddisfacentemente perversi, ha descritto sul Corriere della Serauna Calabria che non c'è, per commentare l'orrendo femminicidio di Fabiana Luzzi.
Francesca ha espresso un'opinione - a mio modesto avviso delirante - su una questione spinosa: la condizione della donna in Calabria (uguale, credo io, a quella della donna in Italia).
Francesca però è innocente! Non è una sociologa, non è una giornalista e non è un'osservatrice professionista del fenomeno. Io la difendo, la colpa non è sua.
La domanda quindi - per dirla con Totò - sorge spontanea. Perché mai il prestigioso quotidiano di via Solferino pubblica in homepage e senza porre tempo in mezzo la lettera (quantomeno controversa sin dal primo sguardo) di colei che - mi si perdoni - è una illustre sconosciuta?
Non basta la toppa che il CorSera ci mette più tardi, pubblicando l'ottimo intervento dell'illustre collega Biagio Simonetta. Si tratta di un finto contraddittorio.
I responsabili del Corriere online non hanno perso tempo a pubblicare: il buzzurro calabrese con la coppola che picchia la propria donna mentre azzanna un piccantissimo peperoncino, evidentemente, vende. Fa comodo questo stereotipo di trogloditismo perché, come tutti gli stereotipi, semplifica la realtà a chi non vuole - o non può - riflettere.
E' difficile, anche per i miei ben più blasonati colleghi a quanto pare, immaginare un mondo dove nulla è semplice e tutto possiede infinite sfumature, dove l'analisi della cultura dominante (ammesso che sia corretta) non serve per speculare sulle qualità dell'individuo, ma per comprendere i fenomeni sociali.
Il razzismo, è triste a dirsi, vende e funziona bene. Sia quando lo si critica che quando, attivamente o passivamente, latentemente o coscientemente, lo si pratica.
Attenzione! Il razzismo, giova ripeterlo, non è di Francesca. Casomai proviene da altra fonte.
Lo stupratore rumeno, il vu cumprà marocchino, la colf filippina, la badante moldava, il culo brasiliano, Milano-che-puoi-morire-per-strada-e-manco-ti-guarda-nessuno.
Lo stereotipo razzista è redditizio, semplice, pulito, efficace, socialmente accettato.
Specie quando fatto ad arte, cogliendo, al momento propizio, l'occasione favorevole.
Dolo? Non credo. Al CorSera non sono razzisti. O forse non sanno di esserlo.
Piccola postilla: Sul pezzo di Domenico Naso sul Fatto Quotidiano non scriverò una riga. A mio avviso non merita commenti. Seconda piccola postilla: Sono calabrese, ho una mamma, una sorella, una fidanzata, decine di cugine e care amiche. Inutile dire che le amo. Tutte. Per il solo fatto, innanzitutto, di essere donne.
Il 18 aprile del 1993 avevo 7 anni. Mio padre mi portò con i suoi amici al Ritrovo Morabito, unico locale a Reggio dove c'era telepiù, per vedere la partita della Viola.
La Viola, unico orgoglio di una città degradata, insanguinata da due guerre di mafia, umiliata col soprannome di Beirut d'Italia.
Non ricordo molto di quella partita, mi ricordo il locale pieno di gente anche all'impiedi, tutti gli uomini assorti nella semioscurità a fumare centinaia di sigarette e a sperare.
Non mi ricordo molto, ma gli ultimi 3 secondi di quella gara ancora mi bruciano. Non riesco a cancellarli dalla mia memoria, non riesco a cancellare soprattutto ciò che venne dopo.
La Benetton si porta in vantaggio di due punti grazie alla freddezza di Nino Pellacani dalla lunetta. Tolotti rimette la palla in gioco per la Panasonic Viola, Avenia vede Dean Garrett libero sottocanestro e lo serve con un assist che sembra disegnato da un matto. L'americano si alza in volo a rallentatore e schiaccia la palla dentro il canestro del Palaverde di Treviso.
Al ritrovo succede di tutto, urla, lacrime, salti. Per circa 3 secondi. Tanto ci mette l'arbitro Reatto (mi pare) ad annullare il canestro di Garrett. Le immagini della tv chiariranno poi che il canestro era valido.
Saremmo andati in semifinale, se non fosse stato per l'errore (?) arbitrale. Avremmo avuto ottime possibilità di vincere lo scudetto. Il primo posto per l'ultima città d'Italia.
E invece no. Tutti i commentatori (all'epoca un po' meno in malafede che adesso) dissero a chiare lettere che era uno scandalo, che la Viola e Reggio erano state scippate.
Io, impietrito sulla seggiolina del ritrovo, mi sentivo vuoto e pieno di rabbia. Avevo intuito che cosa era successo. Intendo cosa era successo al di là dello sport. Un pezzo d'innocenza se n'è andata per sempre il 18 aprile 1993. Il giorno in cui conobbi la faccia non della cattiveria (quella me l'avevano già insegnata le immagini delle stragi di Palermo) ma l'ingiustizia. Quella gratuita.
Quella che fa trionfare i potenti e soccombere i piccoli, quella che spezza i sogni di chi ha voglia di riscatto.
Quel giorno al ritrovo Morabito fui io a consolare mio padre. Nel cuore avevo una promessa: "Mai più".
Il 18 aprile 1993 conobbi l'ingiustizia. Oggi fanno 20 anni, e ancora non mi ci sono abituato.
Questo è un articolo che ho pubblicato a Luglio di due anni fa. Lo ripropongo oggi così...senza una ragione apparente.
"Faceva caldo a Genova" nel luglio del 2001. A Londra l'aria era umida e appiccicaticcia, e noi ragazzi trovavamo refrigerio sotto i ventilatori anni '60 della sala comune di un piccolo college urbano, a Camden Town, la sede storica dei punk britannici. Io avevo 15 anni e mentre le immagini dei feriti della scuola Diaz scorrevano sul televisore comune, non capivo. Tutti eravamo sgomenti. La voce inglesissima della giornalista, rompeva leggermente le righe della compostezza editoriale di marca anglosassone e muoveva qualcosa dentro di me, bambino educato alla giustizia, prima che alla legge. Ci sarebbe voluto ancora qualche anno per arrivare alla mesta consapevolezza che quell'abuso non era una novità e che per anni, settori deviati e violenti dello Stato avevano azzannato il libero pensiero come fiere impaurite dalla diversità di una strana e giovane preda. Allora guardavo quella tv straniera e i miei occhi fissi le chiedevano il perché. Oggi, 10 anni dopo, mi chiedo per quale motivo alcuni dei responsabili, nonostante l'eccellente e coraggioso lavoro dei magistrati, siano ancora impuniti o, peggio, promossi. Dopo 10 anni, i miei occhi di 15enne pieni di lacrime nel vedere quei ragazzi con le teste spaccate (quasi per fare uscire quelle idee moleste di eguaglianza e pace), i polmoni collassati e le ossa rotte, però, mi fanno capire che devo ringraziare i colpevoli di quel massacro. Grazie, dunque, o esseri brutali, perché con la vostra bestialità mi avete costretto ad essere umano, perché con la vostra violenza mi avete insegnato il valore del dialogo, perché il vostro coraggio beota da servo infedele mi ha fatto capire cosa dovrebbe essere uno Stato democratico, perché le vostre manipolazioni mi hanno fatto amare la verità al punto tale da farne una professione, in senso stretto e in senso di fede. Grazie a voi torturatori, picchiatori, manovratori e colletti bianchi perché quel giorno, alle migliaia di occhi dei quindicenni intontiti di tutto il Paese, con il vostro vuoto e la vostra distruzione, avete regalato la visione e la speranza di un futuro da costruire nella pienezza e nella giustizia.
La piazza è piena di gente, proprio quella piazza. Una piazza storica, una piazza rappresentativa. Sul palco sta per salire il liberatore del popolo, l'azzeratore delle complicazioni, il risolutore Beppe Grillo. Solo che il profeta crede di non aver bisogno di cantori, si tuffa tra la folla beota come Mao nel fiume giallo. E caccia i cronisti dal palco, calpesta l'articolo 21 della Costituzione, quella che dice di voler difendere. Bravo.
Bravo perchè ha saputo costruire attorno a sè un impianto ideologico che lo rende immune alla critica e impermeabile alle domande, bravo perchè riesce a far passare per un grande sforzo di libertà una censura grossa come una casa.
L'ultimo che ci era riuscito era il caro vecchio Berlusca: se l'economia va male è colpa della Cancelliera, se la giustizia va male è colpa delle toghe rosse, se si fanno domande (non solo scomode) si è comunisti.
A Grillo manca ancora l'opposizione antisistemica legalizzata (nel caso di Silvio magistralmente rappresentata da Michele Santoro) ma anche quella non tarderà ad arrivare.
È una serata triste per l'Italia, ma anche una di quelle esperienze che svelano una realtà psicanalitica di massa che fino ad oggi era recondita ma adesso appare chiara. Una catarsi.
Il torto vero degli italiani non è l'errore ma il fatto di non imparare mai nulla da quello precedente. Buon divertimento.
Mi permetto di consigliare a tutti una riflessione su questa frase di Albert Einstein: "Everything should be made as simple as possible, but not simpler".
Edizione straordinaria! Il blog di Francesco Creazzo è morto (solo il blog per ora) per rinascere sotto il nome de "La Stanchezza del Profeta". Il nome del nuovo periodico - che prometto solennemente di aggiornare con cadenza almeno infra-annuale a differenza dei precedenti) non è dovuto soltanto a manie di grandezza ma a una generale sensazione personale di Cassandrismo fallimentare. In ogni caso qui e solo qui sulla Stanchezza del Profeta potrete leggere le new and revised Creazzate.