venerdì 31 maggio 2013

L'occasione fa il quotidiano razzista...AGAIN! (parte 2)

Le donne di Roccaforte. Qui erette per via dell'assenza di tramontana.
Che Stanchezza oggi, gente! Che amarezza...

Dopo gli exploit di Francesca Chaouqui e Domenico Naso sui quotidiani nazionali a proposito dell'omicidio di Corigliano, tocca di nuovo leggere un articolo pieno di luoghi comuni e pregiudizi sulla Calabria.
A firmarlo è la prestigiosa penna di RepubblicaConchita Sannino.

Si parla di Roccaforte del Greco, comune più volte sciolto per mafia, dove la ndrangheta (senza apostrofo, please) è una realtà evidente, dove neanche si è riusciti a raggiungere il quorum per l'elezione del sindaco, nemmeno stavolta. Tutto corretto, tutti fatti incontrovertibili.

Ciò che lascia basiti, nel leggere lo scritto dell'inviata napoletana, è che di questi fatti si trovi la prima traccia attorno alla decima riga del pezzo.

Attenzione! Non voglio certo mettere in dubbio il fatto che la giornalista conosca le regole base del mestiere (la notizia va sempre in testa), ma che per l'ennesima volta gli inviati delle grandi testate rendono un pessimo servizio al loro mestiere oltre che ai lettori mettendo in primo piano il colore - peraltro intriso di una retorica risibile che più avanti analizzeremo - e in secondo piano, in una posizione di sfondo, ai margini di un racconto che per il resto è di fantasia, i sacerrimi fatti.

"Sono gli stessi abitanti, 545 cristiani in tutto, oltre a una cinquantina tra pecore, capre e maiali, che tra qualche giorno saluteranno a distanza il commissario...".

Questo è l'attacco del pezzo.
La retorica delle capre e dei maiali è da romanzo di Corrado Alvaro. Forse nelle campagne di Napoli, Torino, Verona, Lecce, Ouagadougou, i maiali e le capre sono stati abbattuti per decoro urbano, per non dare l'impressione dell'evidente arretratezza che questi animali così bene rappresentano. Saranno stati sostituiti da raffinati Alpaca.

L'uso della parola "cristiani" è di per sè fuorviante o quantomeno scarsamente dettagliata: Roccaforte, come la giornalista sa, è uno dei paesi dell'area grecanica. Nella sua splendida chiesa medioevale si celebra ancora, una volta al mese, la messa cattolica di rito greco.

Ma andiamo avanti nella lettura.

"Le donne - scrive Conchita Sannino - curve sotto la tramontana anche a maggio, alle sei si ritirano. Ma al bar i mariti ti offrono il caffè, sotto una Madonna ingiallita..."

Che immagine! Mi sembra quasi di vederle le donne calabresi coi loro veli neri sulla testa che curve sotto la tramontana - Roccaforte è esposta a Sud, a Nord c'è una montagna che la ripara e maggio è il mese dello scirocco - tornano alle loro meste capanne di sterco e paglia davanti al cui focolare prepareranno un'umile cena per i loro villosi mariti dai volti scavati nella pietra.

La Madonna ingiallita l'avrà disegnata Matt Groening? Sarà colpa dei fumi dei caffè offerti al bar? (A proposito: fanno a giro? Paga sempre uno solo? Come si organizzano?).

Mistero.

"La caserma dell'Arma di Roccaforte, unico posto dove si parla italiano..."

Dimenticavo di dire che sia i mariti che le misteriose donne sono evidentemente sprovvisti di televisore, visto che non parlano italiano.

Abbandoniamo la goliardia. Nel pezzo pubblicato sia dall'edizione cartacea che da quella telematica del quotidiano si leggono anche fatti, e fatti molto rilevanti.

Mi chiedo se non fossero più importanti quelli che non le voci - con sapienza selezionate - dei paesani.

Mi chiedo se forse si sarebbe potuta raccontare la morsa asfissiante della ndrangheta sul paesino senza ricorrere a questo stile infarcito di retorica dell'arretrato, di queste generalizzazioni caricaturali che vendono così bene.

Conchita Sannino è di Napoli, ha inaugurato lì la sua carriera. Non è certo una persona che scriverebbe a scapito del Sud.

Ma che pena sapere che i grandi giornali preferiscono mandare un inviato giù da noi, proprio per ottenere questo risultato così vendibile e sicuro, piuttosto che avvalersi dei loro valentissimi corrispondenti per raccontare i fatti.

A loro serve la semplificazione, il colore, le voci, le madonne ingiallite e le donne ricurve, sennò il giornale non si vende.

Nel frattempo i fatti spariscono e la situazione disperata della Calabria viene relegate nel folklore mediatico.

Ora basta. Sono quasi le otto. Andiamo al bar che vi offro l'ultimo caffè e poi torniamo a casa, mia moglie mi ha fatto i fagioli e poi le devo menare.

lunedì 27 maggio 2013

L'occasione fa il quotidiano...razzista

Tutti a prendersela con Francesca Chaouqui.
La trentenne calabrese emigrata al Nord che, con una descrizione horror che Borghezio non avrebbe immaginato nemmeno nei suoi sogni più soddisfacentemente perversi, ha descritto sul Corriere della Sera una Calabria che non c'è, per commentare l'orrendo femminicidio di Fabiana Luzzi.

Francesca ha espresso un'opinione - a mio modesto avviso delirante - su una questione spinosa: la condizione della donna in Calabria (uguale, credo io, a quella della donna in Italia).

Francesca però è innocente! Non è una sociologa, non è una giornalista e non è un'osservatrice professionista del fenomeno. Io la difendo, la colpa non è sua.

La domanda quindi - per dirla con Totò - sorge spontanea. Perché mai il prestigioso quotidiano di via Solferino pubblica in homepage e senza porre tempo in mezzo la lettera (quantomeno controversa sin dal primo sguardo) di colei che - mi si perdoni - è una illustre sconosciuta?

Non basta la toppa che il CorSera ci mette più tardi, pubblicando l'ottimo intervento dell'illustre collega Biagio Simonetta. Si tratta di un finto contraddittorio.

I responsabili del Corriere online non hanno perso tempo a pubblicare: il buzzurro calabrese con la coppola che picchia la propria donna mentre azzanna un piccantissimo peperoncino, evidentemente, vende. Fa comodo questo stereotipo di trogloditismo perché, come tutti gli stereotipi, semplifica la realtà a chi non vuole - o non può - riflettere.

E' difficile, anche per i miei ben più blasonati colleghi a quanto pare, immaginare un mondo dove nulla è semplice e tutto possiede infinite sfumature, dove l'analisi della cultura dominante (ammesso che sia corretta) non serve per speculare sulle qualità dell'individuo, ma per comprendere i fenomeni sociali.

Il razzismo, è triste a dirsi, vende e funziona bene. Sia quando lo si critica che quando, attivamente o passivamente, latentemente o coscientemente, lo si pratica.

Attenzione! Il razzismo, giova ripeterlo, non è di Francesca. Casomai proviene da altra fonte.

Lo stupratore rumeno, il vu cumprà marocchino, la colf filippina, la badante moldava, il culo brasiliano, Milano-che-puoi-morire-per-strada-e-manco-ti-guarda-nessuno.

Lo stereotipo razzista è redditizio, semplice, pulito, efficace, socialmente accettato.

Specie quando fatto ad arte, cogliendo, al momento propizio, l'occasione favorevole.

Dolo? Non credo. Al CorSera non sono razzisti. O forse non sanno di esserlo.


Piccola postilla:
Sul pezzo di Domenico Naso sul Fatto Quotidiano non scriverò una riga. A mio avviso non merita commenti.

Seconda piccola postilla: Sono calabrese, ho una mamma, una sorella, una fidanzata, decine di cugine e care amiche. Inutile dire che le amo. Tutte. Per il solo fatto, innanzitutto, di essere donne.